Published on 7 Maggio 2019 in Discovery - Written by Zanolli

Dalla nativa Salò all’ambitissima cucina del ristorante stellato Le George di Parigi. Con umiltà, profondo rispetto per i frutti della terra e un forte spirito interculturale, Chef Simone Zanoni è diventato un punto di riferimento per la cucina italiana nel mondo. Quella del futuro, rispettosa dell’ambiente e avversa agli eccessi. Lasciamoci ispirare dalla sua visione…

 

Lei ha presieduto il Jury per la Categoria Pizza a Due al Campionato Francese della Pizza. Qual è secondo lei il segreto del successo quando si gareggia in due, in un mondo dove c’è una tendenza a voler primeggiare individualmente? Come si ripartiscono i ruoli nella creazione di una pizza a quattro mani?

Simone Zanoni: Per la pizza a due ci sono due professionisti, da una parte un pizzaiolo, dall’altra un cuoco. Tra i candidati, abbiamo selezionato quelli che ci sono sembrati più affiatati. Naturalmente il fatto di lavorare in squadra implica il mettere da parte l’ego personale: è proprio grazie all’intesa che il pizzaiolo riesce a sublimare il lavoro del cuoco e viceversa. Sono due passioni che si uniscono, ed è interessante vedere come prende vista questa sinergia, visto che di solito i due mestieri sembrano restare su un piano separato. I ragazzi che hanno vinto nella categoria pizza due al Championnat de France sono anche quelli che hanno vinto nella stessa categoria al Campionato di Parma! Per me è stata una soddisfazione: significa che abbiamo scelto la coppia vincente, quella in cui la collaborazione è stata perfetta. Anche l’anno scorso la coppia che ha vinto al Parizza è arrivata seconda al Campionato di Parma, evidentemente abbiamo un metodo di valutazione che si rivela lungimirante.

Per noi, che siamo da sempre legati al mondo dello sport, lo spirito di squadra e il fair play sono fattori essenziali nelle competizioni. Fanno anche parte dei suoi criteri di valutazione nella competizione? Cos’altro valuta?

S. Z.: Assolutamente. C’erano cuochi e pizzaioli molto bravi presi singolarmente, ma che non funzionavano insieme. Se la voglia di strafare da parte del pizzaiolo o del cuoco prende il sopravvento, si perde l’equilibrio del risultato. Noi abbiamo cercato quest’armonia, che abbiamo ritrovato nel gusto e nel sapore della pizza: il cuoco è riuscito a sublimare la pizza senza appesantirla o renderla troppo complessa.

Vorremmo esplorare insieme a lei la filosofia della sua cucina, notoriamente fondata sull’utilizzo di prodotti locali e stagionali, e sull’attenzione a ridurre gli sprechi. Com’è riuscito ad armonizzare la devozione alla sostenibilità con le esigenze di perfezione dell’alta gastronomia? Si serve di metodi o tecnologie particolari?

S. Z.: Lo chef di oggi deve avere una visione molto globale e ricercata verso questo mestiere. Non può accontentarsi di comprare dei bei prodotti per fare dei bei piatti. Oggi abbiamo una responsabilità verso la Madre Terra che ci offre i suoi frutti, siamo tutti coinvolti e dobbiamo renderci conto che dobbiamo essere più eco-sostenibili; dobbiamo essere capaci di produrre meno in quantità e con maggiore qualità. È importante realizzare questi propositi attraverso operazioni concrete, che io e la mia équipe regolarmente svolgiamo, come coltivare un orto, riciclare alcuni scarti alimentari… Ad esempio noi ricicliamo il caffè e non compriamo più l’acqua in bottiglia, filtriamo quella del rubinetto. Bisogna comprendere che il business va fatto in una maniera diversa, restando più vicini alla natura. Questa tendenza sicuramente non è facile da adattare al lusso di un Palazzo parigino. Per farlo ci serviamo di molte start-up che hanno intuito la direzione da prendere e offrono soluzioni e invenzioni interessanti. Ad esempio, ci appoggiamo a una start-up che coltiva funghi dal caffè riciclato. Prediligiamo queste soluzioni basate sul riciclo e sul rispetto della natura.

Secondo lei è una scelta percorribile anche per i ristoratori classici, le cui scelte sono spesso orientate sul contenimento dei costi?

S. Z.: Oggi abbiamo ancora la possibilità di aderire o meno a certe scelte, ma tra 10 anni non sarà più una scelta, bensì un obbligo per legge, come è successo per il divieto di fumare nei locali o con le restrizioni sulla guida dopo aver assunto alcol. Ci sarà una più rigida legislazione sul modo in cui produciamo e consumiamo gli alimenti. Nei prossimi 15-20 anni le regole saranno molto più severe e sradicheranno certe pratiche oggi ancora tollerate. È l’unico modo per regolare una società. Anche lo stesso consumismo oggi non è sufficientemente controllato, ma col passare degli anni ci si renderà conto dell’enormità di danni che questo stile di vita genera alla società e al pianeta. Sarà fondamentale produrre meno, perché il problema non è del riciclaggio, ma della sovrapproduzione. Purtroppo c’è ancora molto da fare in tanti paesi del mondo. L’attenzione all’ambiente non è una priorità per lo Stato, nel giorno in cui lo sarà ci saranno leggi e controlli molto più severi. Le cose stanno cambiando, la società deve rivedere radicalmente questo modello di produzione.

Ci racconti la sua storia con la pizza, come la produce? Come la consuma? Com’è nato il sodalizio con il Campionato di Francia della Pizza?

S. Z.: Per me la pizza, essendo italiano, è un alimento con cui sono cresciuto, come il caffè, come il pomodoro; è naturale che ci sia un legame emozionale con questi prodotti. Poi c’è stata una separazione, quando sono andato in Inghilterra, in Francia. Eppure mi sono reso conto che questa passione per la pizza è molto importante anche oltre i confini, anche se non sempre la qualità combacia coi ricordi. Quando sono arrivato a Versailles, data la scarsità dell’offerta locale, l’unico modo per poter continuare la tradizione della pizza serale della domenica è stato aprire una mia pizzeria. Da quel momento ho iniziato a interessarmi in modo più professionale alla pizza, ho iniziato a lavorare con Galbani e con loro a implicarmi al Campionato, e come rappresentante della cucina italiana a Parigi, è stato naturale che partecipassi a questo concorso. La pizza mi ha sempre corteggiato. Per le mie esigenze di produzione e le mie tendenze ecologiche, mi sono reso conto che il forno a legna non sarebbe stato adatto. A mio avviso, oggi i forni elettrici possono essere molto performanti e molto più facili da usare, garantendo un’omogeneità del risultato che col forno a legna difficilmente si ottiene, soprattutto se il personale non ha la giusta esperienza.

Per le aziende, come per i singoli, l’internazionalità è ormai un’attitudine imprescindibile per la propria evoluzione professionale. Nel suo vissuto sussiste la definizione di “differenze culturali”? Cosa la ha marcata di più?

S. Z.: Le differenze culturali sono molto ovvie, soprattutto tra il continente anglosassone e quello latino. C’è una divergenza di carattere. Io sento una maggiore affinità con il continente latino, più passionale, forse meno preciso, ma che vive le cose in modo intenso. Io ho vissuto anche a Londra e a New York, e noto molte differenze. Comunque, l’insegnamento principale è che ognuno può svilupparsi in qualsiasi paese, bisogna comprendere la cultura in cui si vive e andare nella stessa direzione, anche nel modo di fare business. Armonizzarsi nel contesto. Per questo non ho fatto fatica ad adattarmi agli ingredienti locali, abbracciando l’offerta che avevo a disposizione. Al nord ho trovato prodotti molto gustosi che ho imparato a valorizzare, per principio evito di ricorrere a prodotti importati. Queste sfide mi hanno fatto crescere.

Secondo la sua visione, ci saranno in futuro nella ristorazione dicotomie che sostituiranno le narrative un po’ abusate nei media del “tradizione VS innovazione”, “locale VS globale”?

S. Z.: Potrei preconizzare il “fatto in casa” VS “prefabbricato”. Noto che quello che cambia di più oggi è la mancanza di professionisti. Abbiamo una ristorazione che si sta sviluppando, ma dietro non ci sono abbastanza risorse formate, i ragazzi vogliono imparare meno, vogliono una vita facile. Per questo sono nate aziende che sopperiscono con soluzioni pratiche a questa mancanza di professionisti, come ad esempio quelle che si dedicano alla produzione della pasta per pizza. Comprare la pasta da pizza costa un po’ di più, ma permette anche di ottimizzare dei costi di risorse umane. Ma se in pizzeria si può trovare pasta da pizza di buona qualità che permette di ottenere un buon prodotto, nella ristorazione il discorso è un po’ diverso, perché usare prodotti già trasformati allontana dal concetto del “fatto in casa”. C’è una distinzione tra usare un prodotto semi-lavorato che ci semplifica l’operatività, come può essere una pasta già pronta, e usare alimenti già finiti e poi spacciarli per fatti in casa. Un consumatore fatica a distinguere, per questo la trasparenza è importante, aiuta a comprendere il livello di implicazione dello Chef.

 

 

Dalla nativa Salò all’ambitissima cucina del ristorante stellato Le George di Parigi. Con umiltà, profondo rispetto per i frutti della terra e un forte spirito interculturale, Chef Simone Zanoni è diventato un punto di riferimento per la cucina italiana nel mondo. Quella del futuro, rispettosa dell’ambiente e avversa agli eccessi. Lasciamoci ispirare dalla sua visione…

 

Lei ha presieduto il Jury per la Categoria Pizza a Due al Campionato Francese della Pizza. Qual è secondo lei il segreto del successo quando si gareggia in due, in un mondo dove c’è una tendenza a voler primeggiare individualmente? Come si ripartiscono i ruoli nella creazione di una pizza a quattro mani?

Simone Zanoni: Per la pizza a due ci sono due professionisti, da una parte un pizzaiolo, dall’altra un cuoco. Tra i candidati, abbiamo selezionato quelli che ci sono sembrati più affiatati. Naturalmente il fatto di lavorare in squadra implica il mettere da parte l’ego personale: è proprio grazie all’intesa che il pizzaiolo riesce a sublimare il lavoro del cuoco e viceversa. Sono due passioni che si uniscono, ed è interessante vedere come prende vista questa sinergia, visto che di solito i due mestieri sembrano restare su un piano separato. I ragazzi che hanno vinto nella categoria pizza due al Championnat de France sono anche quelli che hanno vinto nella stessa categoria al Campionato di Parma! Per me è stata una soddisfazione: significa che abbiamo scelto la coppia vincente, quella in cui la collaborazione è stata perfetta. Anche l’anno scorso la coppia che ha vinto al Parizza è arrivata seconda al Campionato di Parma, evidentemente abbiamo un metodo di valutazione che si rivela lungimirante.

Per noi, che siamo da sempre legati al mondo dello sport, lo spirito di squadra e il fair play sono fattori essenziali nelle competizioni. Fanno anche parte dei suoi criteri di valutazione nella competizione? Cos’altro valuta?

S. Z.: Assolutamente. C’erano cuochi e pizzaioli molto bravi presi singolarmente, ma che non funzionavano insieme. Se la voglia di strafare da parte del pizzaiolo o del cuoco prende il sopravvento, si perde l’equilibrio del risultato. Noi abbiamo cercato quest’armonia, che abbiamo ritrovato nel gusto e nel sapore della pizza: il cuoco è riuscito a sublimare la pizza senza appesantirla o renderla troppo complessa.

Vorremmo esplorare insieme a lei la filosofia della sua cucina, notoriamente fondata sull’utilizzo di prodotti locali e stagionali, e sull’attenzione a ridurre gli sprechi. Com’è riuscito ad armonizzare la devozione alla sostenibilità con le esigenze di perfezione dell’alta gastronomia? Si serve di metodi o tecnologie particolari?

S. Z.: Lo chef di oggi deve avere una visione molto globale e ricercata verso questo mestiere. Non può accontentarsi di comprare dei bei prodotti per fare dei bei piatti. Oggi abbiamo una responsabilità verso la Madre Terra che ci offre i suoi frutti, siamo tutti coinvolti e dobbiamo renderci conto che dobbiamo essere più eco-sostenibili; dobbiamo essere capaci di produrre meno in quantità e con maggiore qualità. È importante realizzare questi propositi attraverso operazioni concrete, che io e la mia équipe regolarmente svolgiamo, come coltivare un orto, riciclare alcuni scarti alimentari… Ad esempio noi ricicliamo il caffè e non compriamo più l’acqua in bottiglia, filtriamo quella del rubinetto. Bisogna comprendere che il business va fatto in una maniera diversa, restando più vicini alla natura. Questa tendenza sicuramente non è facile da adattare al lusso di un Palazzo parigino. Per farlo ci serviamo di molte start-up che hanno intuito la direzione da prendere e offrono soluzioni e invenzioni interessanti. Ad esempio, ci appoggiamo a una start-up che coltiva funghi dal caffè riciclato. Prediligiamo queste soluzioni basate sul riciclo e sul rispetto della natura.

Secondo lei è una scelta percorribile anche per i ristoratori classici, le cui scelte sono spesso orientate sul contenimento dei costi?

S. Z.: Oggi abbiamo ancora la possibilità di aderire o meno a certe scelte, ma tra 10 anni non sarà più una scelta, bensì un obbligo per legge, come è successo per il divieto di fumare nei locali o con le restrizioni sulla guida dopo aver assunto alcol. Ci sarà una più rigida legislazione sul modo in cui produciamo e consumiamo gli alimenti. Nei prossimi 15-20 anni le regole saranno molto più severe e sradicheranno certe pratiche oggi ancora tollerate. È l’unico modo per regolare una società. Anche lo stesso consumismo oggi non è sufficientemente controllato, ma col passare degli anni ci si renderà conto dell’enormità di danni che questo stile di vita genera alla società e al pianeta. Sarà fondamentale produrre meno, perché il problema non è del riciclaggio, ma della sovrapproduzione. Purtroppo c’è ancora molto da fare in tanti paesi del mondo. L’attenzione all’ambiente non è una priorità per lo Stato, nel giorno in cui lo sarà ci saranno leggi e controlli molto più severi. Le cose stanno cambiando, la società deve rivedere radicalmente questo modello di produzione.

Ci racconti la sua storia con la pizza, come la produce? Come la consuma? Com’è nato il sodalizio con il Campionato di Francia della Pizza?

S. Z.: Per me la pizza, essendo italiano, è un alimento con cui sono cresciuto, come il caffè, come il pomodoro; è naturale che ci sia un legame emozionale con questi prodotti. Poi c’è stata una separazione, quando sono andato in Inghilterra, in Francia. Eppure mi sono reso conto che questa passione per la pizza è molto importante anche oltre i confini, anche se non sempre la qualità combacia coi ricordi. Quando sono arrivato a Versailles, data la scarsità dell’offerta locale, l’unico modo per poter continuare la tradizione della pizza serale della domenica è stato aprire una mia pizzeria. Da quel momento ho iniziato a interessarmi in modo più professionale alla pizza, ho iniziato a lavorare con Galbani e con loro a implicarmi al Campionato, e come rappresentante della cucina italiana a Parigi, è stato naturale che partecipassi a questo concorso. La pizza mi ha sempre corteggiato. Per le mie esigenze di produzione e le mie tendenze ecologiche, mi sono reso conto che il forno a legna non sarebbe stato adatto. A mio avviso, oggi i forni elettrici possono essere molto performanti e molto più facili da usare, garantendo un’omogeneità del risultato che col forno a legna difficilmente si ottiene, soprattutto se il personale non ha la giusta esperienza.

Per le aziende, come per i singoli, l’internazionalità è ormai un’attitudine imprescindibile per la propria evoluzione professionale. Nel suo vissuto sussiste la definizione di “differenze culturali”? Cosa la ha marcata di più?

S. Z.: Le differenze culturali sono molto ovvie, soprattutto tra il continente anglosassone e quello latino. C’è una divergenza di carattere. Io sento una maggiore affinità con il continente latino, più passionale, forse meno preciso, ma che vive le cose in modo intenso. Io ho vissuto anche a Londra e a New York, e noto molte differenze. Comunque, l’insegnamento principale è che ognuno può svilupparsi in qualsiasi paese, bisogna comprendere la cultura in cui si vive e andare nella stessa direzione, anche nel modo di fare business. Armonizzarsi nel contesto. Per questo non ho fatto fatica ad adattarmi agli ingredienti locali, abbracciando l’offerta che avevo a disposizione. Al nord ho trovato prodotti molto gustosi che ho imparato a valorizzare, per principio evito di ricorrere a prodotti importati. Queste sfide mi hanno fatto crescere.

Secondo la sua visione, ci saranno in futuro nella ristorazione dicotomie che sostituiranno le narrative un po’ abusate nei media del “tradizione VS innovazione”, “locale VS globale”?

S. Z.: Potrei preconizzare il “fatto in casa” VS “prefabbricato”. Noto che quello che cambia di più oggi è la mancanza di professionisti. Abbiamo una ristorazione che si sta sviluppando, ma dietro non ci sono abbastanza risorse formate, i ragazzi vogliono imparare meno, vogliono una vita facile. Per questo sono nate aziende che sopperiscono con soluzioni pratiche a questa mancanza di professionisti, come ad esempio quelle che si dedicano alla produzione della pasta per pizza. Comprare la pasta da pizza costa un po’ di più, ma permette anche di ottimizzare dei costi di risorse umane. Ma se in pizzeria si può trovare pasta da pizza di buona qualità che permette di ottenere un buon prodotto, nella ristorazione il discorso è un po’ diverso, perché usare prodotti già trasformati allontana dal concetto del “fatto in casa”. C’è una distinzione tra usare un prodotto semi-lavorato che ci semplifica l’operatività, come può essere una pasta già pronta, e usare alimenti già finiti e poi spacciarli per fatti in casa. Un consumatore fatica a distinguere, per questo la trasparenza è importante, aiuta a comprendere il livello di implicazione dello Chef.